mercoledì 3 gennaio 2007

René Girard e l’illusione del sacrificio

"Chi cerca trova". Così indagando sul tema del sacrificio ho trovato René Girard, autore che consiglio a tutti: chiaro, stimolante – chiunque si interessi di Cristianesimo lo troverà certamente … utile.

Il Nostro, del quale potrete leggere un interessante profilo su Wikipedia ciccando qui, promuove una tesi affascinante ed in defintiva semplice: partendo dall'essenza del nostro desiderio arriva ad indentificare il perverso meccanismo della violenza che ne deriva, concentrando la sua analisi sul sacrificio ed il suo ruolo.

Andiamo con ordine. Girard afferma che in tutti noi è presente e vivo un desiderio "metafisico" indifferenziato, plastico. Da questa indifferenziazione desiderante, nascono uno dopo l'altro i nostri mille deisideri attraverso un processo di mimesi: iniziamo a desiderare qualcosa perchè qualcun altro lo desidera. In un processo di copia (ossia di mimesi) impariamo a desiderare, a volere, a porci obiettivi, perchè qualcun altro desidera, vuole, si pone obiettivi.

Questa affermazione, che non ho la presunzione di riportare esattamente, è contemporaneamente stimolante e controversa: certamente il desiderio si apprende nelle forme e nei contenuti, ma dubito che si apprendano le molte spinte che ci animano... Tuttavia, chi di noi non si è sopreso ad esempio di quanto i gusti sessuali delle culture varino? Un amico di ritorno dal un paese nordafricano mi diceva che donne da noi francamente obese, là erano avvenenti e desiderate. E ancora, mio fratello voleva sempre quello che avevo io, solo perchè io ce l'avevo...

Tuttavia, questo fonda l'essere sociale dell'uomo. Quando desidera non è mai solo.

Dalla caratteristica mimetica del desiderio derivano diverse conseguenze, la prima, sul piano soggettivo, è che il modello (ossia colui che desidera ciò che anche noi desideriamo) diventa sia oggetto di imitazione e ammirazione che di invidia e odio - in entrambi i casi, il desiderio è connesso ad una opinione di sé davvero manchevole. La seconda, sul piano oggettivo, è l'inevitabile rivalità per ottenere ciò che molti desiderano.
Il pregio di questa concezione è di unire aspetti soggettivi ed oggettivi: il desiderio veicola sia un immagine di sé che un dato oggettuale: le risonanze con alcuni psicoanalisti del Sè, come Kohut, sono molto suggestive.

Una volta iniziato a desiderare, non c'è scampo, si inizia a rivaleggiare, ossia si cade nella violenza. Come un vortice, la violenza non può che crescere, alimentandosi di vendette reciproche in nome di quello stesso principio della mimesi, che ora sarebbe più opportuno chiamare reciprocità. La tensione all'interno di un gruppo contagiato dal desiderio diventa tanto forte, che diviene necessario trovare una scarica sicura di questa energia: si scopre il capro espiatorio, l'essere, uomo o animale, su cui si abbatte la violenza dell'intero gruppo, disposto a credere che ogni colpa, ogni peccato ricada su questa sventurata vittima.
Uccidere il capro espiatorio ha un effetto portentoso: riporta la pace tra i membri del gruppo. L'immagine della vittima che il gruppo si construisce può avere due aspetti, talvolta contemporanei, divino o esecrabile. Entrambi sanciscono l'esclusione dal gruppo, entrambi sono manifestazioni del sacro, che si caratterizza così come risultato della violenza.

Ora, afferma Girard, l'illusione del sacrificio, ossia credere consciamente che la vittima (animale, persona, gruppo sociale) sia il vero e unico responsabile della miseria percepita dagli uomini e delle loro violenza, sarebbe smascherata dalla vicenda umana di Gesù, che viene identificato come vittima innocente contro cui si scaglia una violenza immotivata: Gesù sarebbe l'anti-vittima, perchè attraverso il suo sacrificio ne comprendiamo l'orrore, la menzogna e l'inutilità. Nella sua vicenda si smaschera la violenza del sacrificio, il suo sacrificio ridà agli uomini la loro responsabilità come carnefici, si schiera con tutte le vittime, sempre per definizione innocenti, racconta la storia non dalla parte della maggioranza, ma della minoranza, esecrata e vilipesa. Il ribaltamento è totale: la vittima perdona il carnefice e spezza la reciprocità della vendetta. La violenza così non può più rinascere .

Ho riportato molto succintamente le tesi di questo autore; parla di cose che sento molto vicine ovviamente: una delle cose che mi impediscono di essere cristiano è proprio il sacrificio di espiazione che tutta la tradizione e le scritture unanimemente attribuiscono a Gesù. Devo dire che, nelle mie personali idiosincrasie, ho per un attimo vacillato - ho pensato che forse quello che mi affascina del cristianesimo non è in contraddizione con l'essere una persona civile, che si rifiuta di pensare che serva un sacrificio di sangue per cancellare un'offesa a Dio, definito come Dio d'amore...
Eppure ho dovuto retrocedere, e per questi motivi.

1. Il Buddhismo parte da una analisi molto raffinata del desiderio "metafisico" che in questo contesto viene chiamato sete. Il Buddha afferma chiaramente (II Nobile Verità) che è la sete la causa della sofferenza umana. Tutta la pratica punta a questo, estinguere questa sete che "brucia" e per cui solo il Nirvana, il Rinfrescante, è la soluzione. Niente che si possa desiderare su questa terra o in cielo possono impedire di soffrire, solo il Nirvana, che non possiamo desiderare, ma solo realizzare, è la risposta. Per il fatto stesso di non poter essere desiderato, ossia afferrato, oggetto di attaccamento, non può essere concepito dal pensiero, se non per metafore, similitudini, limitate e che non vanno mai presa alla lettera (... il dito punta alla luna, fissare il dito è quasi satanico ...): ho sempre sentito profonde assonanze tra il Regno è la Via... Ma ancora non ho capito come legarle.
2. Il Buddhismo da sempre esclude il sacrificio.
3. Mi sembra che questa interpretazione dei Vangeli non manchi di una forte dose di verità, di cui forse solo oggi le nostre società secolarizzate si rendono conto. Personalmente sono convinto che, con il maturare di una civiltà, la violenza divenga sempre più intollerabile. L'interpetazione di Girard è figlia del nostro tempo, in cui nessuno davvero potrebbe credere che un sacrificio cancelli i peccati, l'iconografia cruenta di cui tutto il Cristianesimo è pervaso ci diventa giorno dopo giorno aliena, sia perchè in pochi siamo oramai disposti a rinunciare a qualcosa per un bene più grande, sia perchè per la nostra coscienza (cattiva?) di occidentali del XXI secolo la violenza è sempre più un tema imbarazzante.
4. Girard afferma che il sacrificio volontario di un innocente smaschera il meccanismo vittimario. E tuttavia questo meccanismo si è perpetuato, e mi sembra si è trasformato nel suo contrario, come tutta la tradizione cristiana mi sembra attestare.
5. La ragionevolezza non sarebbe bastata? Molti filosofi e liberi pensatori hanno parlato contro la violenza, e contro l'idea che un capro espiatorio possa risolvere problemi e tensioni: ad esempio Marc'Aurelio proibì i giochi dei gladiatori, nessun romano di cultura medio-alta avrebbe trovato i giochi del circo "decenti"... non c'era altro modo? Occorreva un anti-sacrificio?

In conclusione, non ho conclusioni: il che mi sembra un ottimo punto di partenza.

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