martedì 20 marzo 2007

Buddhisti Imperfetti

L’idea non è nuova.
La potete trovare in Nietzsche, tanto per citare qualcuno ben più profondo e capace di me. Quello che intendo dimostrare è che il cristianesimo che oggi si vive intorno a noi, quello dei papa-boys (che termine osceno!) o delle tante persone ex-boys ed ex-girls che praticano il cristianesimo, ha poco a che fare con quest’ultimo. A mio giudizio si tratta di una forma di imperfetto buddismo. E cercherò di spiegare perché.

Il problema centrale del buddhismo è la sofferenza. Tutta la pratica buddhista, meditazione, etica e, per le varianti che lo prevedono, culto hanno l’obiettivo di liberarci dalla sofferenza. La causa della sofferenza è la nostra ignoranza: scambiamo quello che è instabile per stabile e ci aggrappiamo ad esso, cercando in tutti i modi di non farlo cambiare. Tutta la nostra realtà è così: nulla resta fermo, mai. Sperare che chi ci ama, ciò che ci piace, i nostri sentimenti, noi stessi, tutto resti così com’è (e credere questo quando ci troviamo in situazioni difficili – ossia credere che nulla cambierà mai) questa è la radice della sofferenza.

Il problema centrale de cristianesimo è la salvezza dal peccato. Termine assai sfuggente e che ormai solo i prelati della curia romana pronunciano (non senza tradurlo in eufemismi meno imbarazzanti come: “disordine morale”, “limite della natura umana”, “imperfezione dell’uomo”). Ma il peccato (e spero che qualcuno mi smentisca dimostrandomi che no ho capito) è il centro del cristianesimo: Gesu di Nazarteh , incarnazione della seconda persona della Trinità, è venuto sulla terra a liberarci da peccato. E come? Ricordiamo, per chi avesse dimenticato il catechismo, che
1. il peccato è , prima che azione immorale contro gli uomini, offesa a Dio
2. in quanto tale esso va espiato
3. per espiare un peccato occorre il sacrificio
4. per espiare tutti i nostri peccati, Dio stesso si sacrifica(1).

Il nucleo della buona novella è che Dio ci ama, infatti manda il suo Figlio Unigenito a soffrire per noi.

Ora, quanti di noi crederebbero davvero a quello che ho scritto sopra? Pochi immagino. Nessuno di noi infatti crede più che ci sia un’entità superiore che si “offende” se mangio un dolce in più (la gola è un peccato tra i più dimenticati) o mi masturbo, o faccio sesso “fuori dal matrimonio”. Mi piacerebbe pensare che si offendesse per il traffico d’armi, la riduzione in schiavitù, la guerra, la violenza (oggetto di così poche prediche). Ma questo, prima che essere offesa ad un essere superiore, non sono azioni contro l’umanità? Se poi anche lui, ammesso esita come lo stiamo immaginando, si offende pure, bene: più siamo a combattere dalla stessa parte meglio è… certo non sembra partecipare all’altezza delle aspettative, vista la posizione di estremo vantaggio in cui opera.

Tornando a noi, la causa prima ed ultima dell’umana sofferenza è proprio il peccato. Questo secondo la dottrina cristiana (e si badi cristiana non cattolica, un po’ tutti i cristiani condividono questa impostazione) – ora, mi chiedo, con la leucemia di un bambino cosa c’entra il peccato? Si badi, non scelgo un cancro ai polmoni, l’AIDS, la guerra, o qualsiasi altra calamità provocata dall’uomo ma una malattia in un soggetto innocente, che è difficile collegare ad una offesa del medesimo, ad una ombrosa divinità. Di fronte a questo, e a molti altri accadimenti della nostra vita, il peccato è una spiegazione implausibile.

Ecco allora che si rivela l’altro aspetto cui mi riferisco: di fronte alla sofferenza ed al disagio, il cristianesimo si pone a metà tra una dottrina consolatoria ed un cammino (analogo al buddhismo) in cui siamo invitati ad accettare la sofferenza per quella che è. E’ il mistero della croce, che rimane mistero, e che pertanto va accettato, con la convinzione però che questa via è stata seguita addirittura prima da Dio incarnato e che dopo la sofferenza e la sconfitta, anche la più dolorosa ed inspiegabile, esiste la resurrezione e la speranza. Inutile dire che tutti noi sentiamo vicino questo messaggio. Inutile dire che personalmente trovo le dottrine consolatorie almeno sospette. Tuttavia, questa impostazione avvicina il cristianesimo ad una via “sapienzale” perchè invita il fedele a immergersi nel mistero, a comprenderlo e lasciarsi comprendere. E in quanto tale, è molto vicino al buddhismo.

Tutte queste idee hanno avuto una conferma diretta durante un viaggio in Colombia, che ho fatto in una missione cattolica nel Quindio, assieme a molti ragazzi di pochi anni più piccoli di me (ho 34 anni). Parlando con alcuni di essi, mi sono reso conto dello spaesamento cui erano (e, in parte, sono) immersi prima di incontrare o ritrovare la fede. La conoscenza che ci sia qualcuno che ci ama e che per noi ha preparato un progetto è quello che tutti questi ragazzi desiderano profondamente. Non si sentono peccatori, anche se si sentono in colpa perché inadeguati: alcuni, ad esempio, hanno avuto trascorsi difficili che li hanno portati da psicologi e psichiatri. Parlando con loro, mi sono reso conto che il loro primo ed unico cruccio è la sofferenza. E che quando gli parlavo di saggezza e compassione (i due pilastri della pratica buddhista) mi dicevano “Ma tu credi alle stesse cose che crediamo noi”.
Sì, credo alle stesse cose che credete voi. Ma non ho bisogno di ratifiche o di enti superiori. So che sono io ad amare, e so che ad amarmi sono le persone intorno a me. So che posso andare oltre la sofferenza, anche senza l’incarnazione di una entità superiore. So che tutti abbiamo una fede per vivere, perché senza fiducia in se stessi, nelle cose, non si vive. Ma ragazzi, sentirsi amati da un Entità Superiore non è un facile sostituto per l’amore che il nostro prossimo, i nostri cari, non ci hanno dato o ci hanno dato in modo diverso da quello che avremmo voluto? E come la mettiamo con l’altra faccia del cristianesimo? Soffrite perché siete peccatori? O perché siete vittime del peccato altrui? Sempre? E non credete di barattare, per la sensazione di essere amati, la vostra indipendenza critica accettando idee altrui, spesso molto discutibili?

Besos, e che Dio o chi per lui ci benedica!




(1) Anche s equesta è la posizione ufficiale, ci sono alcune voci che dissentirebbero profondamente da questa posizione. Una fra tutte è quella di René Girard, che cmq, nel suo ultimo lavoro "Verità o fede debole" ammette che quello di Gesù è stato un sacrificio. Non ne chiarisce il senso...Sembra cioè fare marcia indietro rispetto alle sue note posizioni, che avrebbero portato ad un Cristianesimo gnostico, molto interessante, impraticabile, e vicinissimo al Buddhismo.

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